La Madonna degli angeli
È un dipinto su tavola centinata probabilmente di datazione,
o almeno di tradizione quattrocentesca. La Vergine, seduta su un
seggio invisibile, col Bambino nudo posato sul ginocchio sinistro,
indossa un vestito rosa scollato, ed è avvolta in un ampio manto scuro
che le copra il capo. Tutto intorno è un turbinio di angioletti nudi,
due dei quali reggono sul capo di Maria una corona a fioroni che
riecheggia, con maggiore ricchezza, quelle angioine, come quelle
che si vedono negli affreschi della santa Caterina nella chiesa rupestre
della Buona Nuova a Massafra ed altrove.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 13.
Il Cristo Risorto
È, probabilmente, l'opera d'arte di maggior tasso artistico conservata nella chiesa. È un dipinto su tavola tardo-quattrocentesco o dei primi anni del Cinquecento, opera di un buon pittore che con molte probabilità aveva visto la Resurrezione di Piero della Francesca, che lo scrittore Aldous Huxley giudicò "il più bel dipinto del mondo".
Come nell'affresco di Piero, il Cristo, solenne nella sua nudità anatomicamente ben delineata, avvolto in un manto purpureo che gli scende dal braccio destro proteso nel gesto di allocuzione e gli copre la gamba sinistra e parte della destra, regge con la mano sinistra una bandiera rossa crociata. La gamba destra, piegata e posata sulla pietra tombale rovesciata, indica che il Cristo, ancora Uomo e incarnato, celebra cosi il suo trionfo sulla morte, garanzia per noi della promessa di resurrezione. Il suo sguardo, penetrante e pur sereno, imprime un potente carattere al suo volto. Più gracili, al confronto, due angeli che paiono mero riempitivo degli spazi, ed un volto barbuto dallo sguardo allucinato, in basso a sinistra, di difficile interpretazione. La datiamo al Quattrocento perché, se fosse stata più tarda, l'opera avrebbe altra iconografia, esemplata, come la maggior parte delle Resurrezioni cinquecentesche, sulla Resurrezione di San Francesco al Prato, un dipinto a olio su tavola di Pietro Perugino, databile al 1499 circa e conservato nella Pinacoteca vaticana. Quest'opera riprende uno schema ampiamente usato dal Perugino, con la divinità, in questo caso il Cristo risorto, entro una mandorla che occupa il registro superiore tra angeli, e una parte inferiore, sullo sfondo del paesaggio digradante e ampio in profondità, che in questo caso presenta il sarcofago aperto e i soldati romani, tre dei quali sono addormentati e solo uno è sveglio e sorpreso del miracolo.
Un esempio di questo schema, relativo proprio a quegli anni, si ha nella Trasfigurazione del Collegio del Cambio a Perugia. Si inaugura così l'iconografia della Resurrezione con prospettiva dal basso, proprio per contaminazione con quella della Trasfigurazione.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 12-13.
Martirio di San Lorenzo
La tela fu fortunosamente recuperata dal saccheggio della cappella del Castello medioevale. È opera di un discreto pittore secentesco.
L'opera ha il suo fulcro in basso, dove spicca, sulla graticola, il Santo nudo, che, le braccia allargate in preghiera, guarda verso il cielo aperto dove appaiono angioletti. La scena è movimentata: si vedono, più in alto, un magistrato romano barbuto in corazza rinascimentale e mantello rosso, che potrebbe essere l'imperatore Decio della Legenda Aurea, circondato da armigeri anch'essi in armature rinascimentali ed anacronistiche alabarde, mentre, in basso, due carnefici attizzano il fuoco.
Lorenzo, ricordato come Protomartire, è festeggiato il 10 agosto.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 19.
San Pasquale Baylon
La tela sulla quale è raffigurato san Pasquale Baylon che, a braccia aperte e con volto ispirato guarda verso un angioletto che regge un ostensorio è opera settecentesca, a giudicare dai colori delicati negli abiti della Vergine che guarda la scena seduta su una nuvola e circondata da angioletti. Il pittore era dotato di buona tecnica, ma la composizione appare non bene equilibrata, tanto che, per empire il vuoto della parte sinistra, l'autore è costretto a metterci, come zeppa, in basso, un gruppo di angioletti. E opera devozionale, come denuncia lo stemma nobiliare dell'offerente. Il Santo nacque il 16 maggio 1540, giorno di Pentecoste, a Torre Hermosa in Aragona, Spagna, da Martino Baylon ed Isabella Jubera; fin da bambino dimostrò una spiccata devozione verso l'Eucaristia, che sarà poi la caratteristica di tutta la sua vita religiosa. Fu pastore a servizio di vari padroni, e la solitudine dei campi favori la meditazione e la preghiera. A 18 anni chiese di essere accolto nel convento di S. Maria di Loreto, dei Francescani Riformati Alcantarini, ma non fu accettato. Dopo due anni, però, nel 1560, venne ammesso nel convento, dove fece la sua professione religiosa il 2 febbraio 1564; non volle mai ascendere al sacerdozio, nonostante il parere favorevole dei superiori, perché non si sentiva degno e nella sua umiltà si contentò di rimanere sempre un semplice fratello laico. Fu per anni addetto ai vari servizi del convento, specialmente come portinaio. Fu davvero 'pentecostale', cioè favorito dagli straordinari doni dello Spirito Santo, tra cui quello della sapienza infusa: benché illetterato era costantemente richiesto per consiglio da illustri personaggi. Il Padre Provinciale degli Alcantarini di Spagna nel 1576, dovendo comunicare con urgenza col Padre Generale a Parigi, pensò di mandare con la missiva frate Pasquale, ben sapendo le gravi difficoltà del viaggio per l'attraversamento di alcune province francesi, che in quell'epoca erano dominate dai calvinisti. Al ritorno dalla sua delicata e pericolosa missione, il pio frate compose un piccolo libro di definizioni e sentenze sulla reale presenza di Gesù nell'Eucaristia. Aveva solo 52 anni quando fu colto dalla morte il 17 maggio 1592 nel convento del Rosario a Villa Real (Valenza), era il giorno di Pentecoste, cosi come per la nascita. Fu beatificato il 29 ottobre 1618 da papa Paolo V e proclamato santo il 16 ottobre 1690 da papa Alessandro VIII; papa Leone XIII il 28 novembre 1897 lo proclamò patrono delle opere e dei congressi eucaristici. La sua appassionata devozione per l'Eucaristia, ha ispirato nei secoli i tanti artisti che l'hanno raffigurato sempre nell'atto di adorare l'ostensorio.
La sua festa si celebra il 17 maggio.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 18-19.
Madonna di Costantinopoli
È una delle più importanti opere conservate nella chiesa. Inserita per troppi anni in una modesta nicchia della faccia nord del secondo pilastro sinistro, nella navata laterale, è stata finalmente, ad opera di don Sario Chiarelli, rivalutata appieno e collocata sulla balaustra dell'organo, in asse con l'altare maggiore. Proveniente certamente dalla chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, rappresenta appunto la Vergine costantinopolitana ed è copia su tela di opera di XVI secolo di scuola cretese, allora al massimo del suo splendore, o di pittore pugliese che a quella scuola si ispirava.
La Vergine, che indossa un ampio maphorion blu scuro ampiamente gallonato in oro e reca sulla testa una corona comitale, piega il suo volto dolcissimo verso il Bambino sorretto con la sinistra. I suoi occhi socchiusi velano il volto di una soave tristezza, presagio della Passione del Figlio, che è rappresentato con sano realismo ed è ben proporzionato (cosa che non sempre accade nella pittura cretese) rispetto alla figura della Madre.
Gesù allunga il braccio destro con la mano atteggiata nel gesto di allocuzione (che solitamente è scambiato per gesto di benedizione) come nelle raffigurazioni dell'Odegidria, anche se il suo volto tocca guancia a guancia quello della Vergine, come nelle immagini della Madonna della Tenerezza, dove però il Bambino circonda con la sua destra il collo della Madre.
È certo una delle icone della Madonna di Costantinopoli più interessanti fra quante si conservano in Puglia, anche se, essendo inedita, non è contemplata nell'eccellente catalogo a cura di Pina Belli D'Elia.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 14.
Apparizione della Vergine a papa Onorio II
Nel sovraporta destro che collega il presbiterio agli annessi, vi è un dipinto di controversa interpretazione.
È opera di discreta mano secentesca. La Vergine, priva dell'attributo dello scapolare che è costante nelle raffigurazioni della Madonna del Carmelo, siede su una nube, vestita di scuro e avvolta in un manto chiaro e regge un Gesù bambino nudo, in piedi, abbracciato a lei. In basso, a destra, inginocchiato, è un Papa in abito bianco e piviale rosso. La tradizione popolare vuole che sia Onorio II, ma noi riteniamo sia invece Onorio III, per le ragioni che esponiamo qui di seguito.
Onorio II, nato Lamberto Scannabecchi (Fiagnano, 9 febbraio 1060 - Roma, 13 febbraio 1130), fu il 163° papa della Chiesa cattolica dal 1124 alla morte. Nacque nel territorio del castello di Fiagnano, nell'imolese, ai confini occidentali della Romagna. Di umili origini, Lamberto era però uomo di grandi doti e capacità. L'abate di Montecassino affermò: "di ignorare di chi fosse figlio, ma di saper solo ch'era pieno di dottrina da capo a piedi". Conquistò la fiducia del Papa Gelasio II, che lo nominò vescovo di Ostia e lo creò cardinale.
Il successore Callisto II lo nominò legato pontificio e come tale Lamberto fu uno degli artefici del Concordato di Worms (1122). Alla morte di Callisto II, le potenti famiglie dei Frangipane e dei Pierleoni pretesero ciascuna che venisse eletto il proprio candidato. Lamberto, sostenuto dai Frangipane, fu contrapposto a Tebaldo Boccapecora, appoggiato dai Pierleoni. La spuntò quest'ultimo, ma i Frangipane non accettarono la decisione, entrarono con la forza in Laterano malmenarono Tebaldo che fu costretto a dimettersi e mori per le ferite pochi giorni dopo. I cardinali, preso atto della situazione, conferirono il soglio pontificio a Lamberto il 15 dicembre 1124. Rimase famoso il suo commento, secondo cui gli sarebbe stata più cara la mitria legittima di vescovo di Ostia a quella illegittima di papa. La consacrazione avvenne il 21 dicembre di quell'anno. Durante il suo pontificato i Cavalieri Templari ricevettero la sanzione papale.
Questo del rapporto coi Templari, devoti della Vergine del Carmelo, è il solo tenue filo che potrebbe collegare questo Papa a Maria. Nelle fonti non c'è alcun riferimento a visioni mariane che egli avrebbe avuto. Per questo noi riteniamo che il Papa rappresentato nella tela sia invece Onorio III (Albano, data sconosciuta - Roma, 18 marzo 1227) che fu il 177° papa della Chiesa cattolica dal 1216 alla sua morte.
Scrittore fecondo, redasse una raccolta di Decretali, la Compilatio Quinta, considerata il primo testo ufficiale di diritto canonico, e il Liber Censuum, censimento delle proprietà della Santa Sede. Uomo di profonda cultura e di grande fede, diede l'approvazione pontificia alla Regola di San Domenico il 22 dicembre 1216, quella di san Francesco il 29 novembre 1223, e, il 30 gennaio 1226, approvò l'Ordine Carmelitano con la bolla Ut vivendi normam. Questo, a nostro parere, fu il motivo della venerazione di cui lo onorarono i Carmelitani.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 15-16.
La Vergine e san Simone Stock
Nel sovraporta sinistro, vi è un dipinto che, già in origine, doveva essere in relazione con quello rappresentante l’apparizione della Vergine a Papa Onorio II, situato specularmente a questo. Opera di artista migliore, rappresenta la Madonna del Carmelo, in alto, fra nuvolette ed un turbinio di angioletti, che, reggendo con la sinistra il Bambino, consegna con la destra lo scapolare a san Simone Stock in abito monastico bianco.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 16.
CRISTO, LA VERGINE E SAN FRANCESCO D'ASSISI
Una tela centinata di difficile datazione, ma probabilmente tardo-secentesca se non addirittura settecentesca, raffigura san Francesco d' Assisi che riceve dalle mani di Gesù e della Vergine il testo dell'indulgenza plenaria. È opera di un pittore di buon rango che ha raffigurato in alto, a sinistra, Gesù in manto purpureo e a destra, lievemente più in basso, la Madonna avvolta in un manto blu, che porgono al Poverello d' Assisi, inginocchiato, che guarda verso di loro con le braccia aperte e il volto ispirato, un foglio col testo dell'indulgenza. Troppo noto San Francesco perché se ne debba tracciare qui un profilo biografico, ricordiamo solo che la sua vita terrena si svolse fra il 1182 e il 1226, e che nel 1939 è stato proclamato patrono d'Italia.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 17.
L’Annunciazione
Altra tela centinata, attribuibile probabilmente - sia pure con cautela - allo stesso pittore della tela rappresentante il Cristo, la Vergine e san Francesco d’Assisi è quella che rappresenta l'Annunciazione.
L'Arcangelo Gabriele, avvolto in ricchi panneggi, avanza rapido, porgendo con la destra un giglio alla Vergine inginocchiata e avvolta in un manto blu scuro, che ascolta l'annuncio con lo sguardo abbassato e le mani incrociate sul petto. Con la mano sinistra, l'Arcangelo indica, in alto, la colomba dello Spirito Santo dalla quale si dipartono raggi luminosi.
Rammentiamo che la narrazione dell'Annuncio a Maria è nel Vangelo di Luca, 1, 26-38.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 17-18.
La Vergine della déesis
Sul pilastro che fronteggia l'ingresso laterale sud è murato un frammento di affresco proveniente dalla chiesa rupestre di San Simeone a Famosa. È la Vergine della Déeisis, in atteggiamento di intercessione, con l'iscrizione MAT(ER) D(OMINI. L'affresco fu asportato da ignoti e però abbandonato in un bosco. Recuperato, fu murato nella Chiesa Nuova. E opera di un pittore bizantineggiante di scuola pugliese di XIII secolo.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 11-12.
La Natività
È una tela databile ai primi decenni del Settecento, da considerare fra le migliori realizzazioni di un discreto pittore pugliese, Diego Bianco (Manduria 1683-1787), figlio di un pittore di Melpignano, Gaetano, che ebbe discreta fama ed operò in tutta la Puglia. Spesso firmava le sue opere in latino: Didacus. La scena è affollata, ma il punto focale è costituito dal Bambino, dal quale emana una affascinante luminosità, giacente nudo sulla paglia, su cui alitano un bue e un asinello. Su di lui è china, a mani giunte, la Madre, nell'ormai canonico vestiario di tunica rossa e manto blu. Sullo sfondo, san Giuseppe, quasi monocromo, rappresentato come vecchio per sottolineare la condizione di verginità di Maria, e in atteggiamento di chi si risveglia dal sonno. Tutt'intorno, una tolla stupita e ammirata di pastori, In alto, un angioletto nudo su uno sfondo di nubi.
La Nascita di Gesù è nel Vangelo di Luca, 2, 6-18.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 25.
La Cena di Emmaus
È anche questa una tela dipinta nel 1931 dal pittore Mario Prayer. È opera di notevole caratura artistica, dipinta espressamente per la chiesa di Massafra. Su uno sfondo architettonico di tre archi a tutto sesto su pilastri e capitelli ionicizzanti, di cui quelli laterali aperti sul paesaggio massafrese (si vedono chiaramente il Castello medioevale e un'erta salita per entrare nella città), è la figura del Cristo che, in piedi dietro ad un tavolo coperto da una tovaglia immacolata, regge con la sinistra un calice e porge con la destra il pane ai due discepoli inginocchiati in atteggiamento di grande deferenza. Si riconoscono, per le caratteristiche iconografiche ben note, Pietro che porge le mani a prendere il pane e Giovanni profondamente commosso. La pericope dei discepoli di Emmaus si trova in Luca 24,13-35, ed è propria del terzo evangelista, che però non fa il nome degli Apostoli, ma dice soltanto che erano "due di loro". È un racconto di apparizione pasquale di Cristo risorto, e prende il nome con cui è riferita dal villaggio di Emmaus, a pochi chilometri da Gerusalemme. La narrazione presenta "con arte meravigliosa il nascere della fede nel cuore di due discepoli", e il racconto "passa così dalla descrizione di una fede collettiva a quella di un'esperienza personale del credente vista dal di dentro". Il racconto si muove intorno all'affermazione che Gesù è vivo, come mette ben in evidenza l'analisi della struttura del racconto. Il passaggio di Gesù dalla morte alla gloria si muove attorno al fulcro di quell'affermazione, che richiama il messaggio fondamentale dei due angeli alle donne: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo?". La pericope ha un punto secondario focale nel tema del riconoscimento.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 26-27.
La Madonna della Scala
In una nicchia rettangolare che sovrasta l'ingresso alla scala che conduce al pulpito, si conserva un dipinto di Nicola Galeone rappresentante la Madonna della Scala, ancora secondo l'iconografia che ci è tramandata da antiche stampe ed è anteriore a quella ottocentesca che riproduce la statua processionale della Vergine nel sontuoso vestito bianco ricamato in oro del Settecento, che si conserva nella sacrestia del Santuario o nell'altrettanto sontuoso vestito più tardo ancor oggi usato.
La Vergine che, come nella statua napoletana riprodotta in serie (abbiamo viste statue gemelle perfino in Sardegna, ovviamente senza l'attributo della scala) regge il Bambino, vestito di tunica bianca, in piedi con la mano sinistra e la scala d'argento con la destra, è vestita con una tunica rosata ed un mantello azzurro, ha alla sua destra una riproduzione del Santuario nella sua versione pre-secentesca, contro uno sfondo di cime aguzze ed ha alla sinistra un cervo inginocchiato, mentre sullo sfondo, in un paesaggio più consono a quello della gravina, si vedono due cerve alludenti alla leggenda della loro apparizione annua, nella quale la cerva anziana cadeva morta di colpo perché le sue carni potessero essere distribuite al popolo.
Sia la Vergine che il Bambino hanno sul capo corone regali.
Nicola Galeone fu un pittore che operò a Massafra nell'Ottocento. Nato a Francavilla Fontana nel 1807, si trasferì a Massafra giovanissimo e qui morì nel 1883. Fu pittore e scultore in cartapesta: di quest'ultima attività è testimonianza la statua di Cristo nell'Orto degli Ulivi, uno dei "misteri" che l'Arciconfraternita del Sacramento portata in processione il venerdì santo. Fu pittore abbastanza noto, soprattutto come ritrattista: suoi sono i ritratti di Isabella Accolti Gil e del suo collaboratore Scarcia nella sagrestia della chiesa del Bambino, nonché quelli dei maggiorenti, laici ed ecclesiastici, della Massafra dell'epoca. Quando si dové distruggere l'affresco secentesco che rappresentava il Miracolo delle Cerve nel Santuario, per ampliarlo con la navata occidentale, a Galeone fu affidato l'incarico di copiarlo su una tela che si conserva ancora nel Santuario medesimo.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 35-36.
L'Angelo custode
E una tela dipinta nel 1936 dal pittore Franco Castellano di Roma, al quale fu commissionata dal sig. Luigi Spadaro in occasione della nascita del figlio Arcangelo. È un buon esemplare di pittura accademica del tempo, che si rifaceva alle illustrazioni di testi sacri di Primo Conti. Viene interpretata da qualcuno come Tobiolo e l'Angelo, ma è soltanto un Angelo Custode, dal momento che mancano gli attributi iconografici che caratterizzano solitamente Tobiolo, come il pesce dal cui fegato si doveva estrarre il medicamento che avrebbe ridato la vista al padre divenuto cieco.
Nella tela massafrese si vede un fanciullo vestito di lunga tunica chiara che avanza su un prato fiorito stringendo al petto un fascio di fiori, mentre l'Angelo, vestito di rosa, inginocchiato accanto a lui, gli impedisce di andare verso un baratro accennato a destra, in basso, nella tela. Non conosciamo dati biografici o storico artistici riguardanti l'Autore, nè per quali vie era noto al sig. Spadaro. Ma poiché abbiamo citato una interpretazione data alla tela, anche se erronea, ricorderemo che il Libro di Tobia è un testo contenuto nella Bibbia cristiana (Settanta e Vulgata). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo Dichiarato canonico dal Concilio di Cartagine nel 397 e confermato nel Concilio di Trento (1546), non è mai stato considerato parte del Tanakh, la bibbia della maggior parte degli Ebrei ortodossi, poiché le versioni conosciute erano in greco; sono stati però scoperti frammenti in lingua originale nella caverna IV a Qumran nel 1955. Questi frammenti combaciano con il testo greco che ci è giunto. La stesura del libro pare risalire ad un'epoca poco anteriore ai Maccabei, e presuppone tradizioni aramaiche.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 27-28.
la madonna del carmine
E una tela dipinta nel 1936 dal pittore Franco Castellano di Roma, al quale fu commissionata dal sig. Luigi Spadaro in occasione della nascita del figlio Arcangelo. È un buon esemplare di pittura accademica del tempo, che si rifaceva alle illustrazioni di testi sacri di Primo Conti. Viene interpretata da qualcuno come Tobiolo e l'Angelo, ma è soltanto un Angelo Custode, dal momento che mancano gli attributi iconografici che caratterizzano solitamente Tobiolo, come il pesce dal cui fegato si doveva estrarre il medicamento che avrebbe ridato la vista al padre divenuto cieco.
Nella tela massafrese si vede un fanciullo vestito di lunga tunica chiara che avanza su un prato fiorito stringendo al petto un fascio di fiori, mentre l'Angelo, vestito di rosa, inginocchiato accanto a lui, gli impedisce di andare verso un baratro accennato a destra, in basso, nella tela. Non conosciamo dati biografici o storico artistici riguardanti l'Autore, nè per quali vie era noto al sig. Spadaro. Ma poiché abbiamo citato una interpretazione data alla tela, anche se erronea, ricorderemo che il Libro di Tobia è un testo contenuto nella Bibbia cristiana (Settanta e Vulgata). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo Dichiarato canonico dal Concilio di Cartagine nel 397 e confermato nel Concilio di Trento (1546), non è mai stato considerato parte del Tanakh, la bibbia della maggior parte degli Ebrei ortodossi, poiché le versioni conosciute erano in greco; sono stati però scoperti frammenti in lingua originale nella caverna IV a Qumran nel 1955. Questi frammenti combaciano con il testo greco che ci è giunto. La stesura del libro pare risalire ad un'epoca poco anteriore ai Maccabei, e presuppone tradizioni aramaiche.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 27-28.
L'Angelo custode
E una tela dipinta nel 1936 dal pittore Franco Castellano di Roma, al quale fu commissionata dal sig. Luigi Spadaro in occasione della nascita del figlio Arcangelo. È un buon esemplare di pittura accademica del tempo, che si rifaceva alle illustrazioni di testi sacri di Primo Conti. Viene interpretata da qualcuno come Tobiolo e l'Angelo, ma è soltanto un Angelo Custode, dal momento che mancano gli attributi iconografici che caratterizzano solitamente Tobiolo, come il pesce dal cui fegato si doveva estrarre il medicamento che avrebbe ridato la vista al padre divenuto cieco.
Nella tela massafrese si vede un fanciullo vestito di lunga tunica chiara che avanza su un prato fiorito stringendo al petto un fascio di fiori, mentre l'Angelo, vestito di rosa, inginocchiato accanto a lui, gli impedisce di andare verso un baratro accennato a destra, in basso, nella tela. Non conosciamo dati biografici o storico artistici riguardanti l'Autore, nè per quali vie era noto al sig. Spadaro. Ma poiché abbiamo citato una interpretazione data alla tela, anche se erronea, ricorderemo che il Libro di Tobia è un testo contenuto nella Bibbia cristiana (Settanta e Vulgata). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo Dichiarato canonico dal Concilio di Cartagine nel 397 e confermato nel Concilio di Trento (1546), non è mai stato considerato parte del Tanakh, la bibbia della maggior parte degli Ebrei ortodossi, poiché le versioni conosciute erano in greco; sono stati però scoperti frammenti in lingua originale nella caverna IV a Qumran nel 1955. Questi frammenti combaciano con il testo greco che ci è giunto. La stesura del libro pare risalire ad un'epoca poco anteriore ai Maccabei, e presuppone tradizioni aramaiche.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, pp. 27-28.