San Giovanni Bosco
Giovanni Melchiorre Bosco, noto anche semplicemente come don Bosco (Castelnuovo d'Asti, 16 agosto 1815 - Torino, 31 gennaio 1888), fu il fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice; papa XI lo ha canonizzato nel 1934. Rimasto orfano di padre a soli due anni, ebbe un'infanzia assai difficile a causa dell'estrema povertà, ma, con tenacia, riuscì ad entrare in seminario a Chieri e divenne sacerdote nel 1841. Ispirato dalle notizie riguardanti Don Giovanni Cocchi, che pochi anni prima di lui aveva tentato di radunare all'interno di un Oratorio i ragazzi disagiati di Torino, Giovanni Bosco decise di scendere per le strade della sua città e osservare in quale stato di degrado fossero i giovani del tempo.
Incontrò così i ragazzi che, sulla piazza di Porta Palazzo, cercavano In tutte le maniere di procurarsi un lavoro. Le statistiche dicono che in quel tempo ben 7184 fanciulli sotto i dieci anni erano impiegati nelle fabbriche. In piazza San Carlo, Don Bosco poteva conversare con i piccoli spazzacamini, di circa sette o otto anni, che gli raccontavano il loro mestiere e i loro problemi. Insieme a Don Cafasso cominciò a visitare anche le carceri è inorridì di fronte al degrado nel quale vivevano giovani dai 12 ai 18 anni, tormentati dagli insetti e denutriti. Dopo diversi giorni di antagonismo, i carcerati decisero di avvicinarsi al sacerdote, raccontandogli le loro vite e i loro tormenti.
Don Bosco sapeva che quei ragazzi sarebbero andati alla rovina senza una guida e quindi si fece promettere che, non appena essi sarebbero usciti dal carcere, lo avrebbero raggiunto. L'incontrò, prima di celebrare Messa, Bartolomeo Garelli nella sacrestia della chiesa di San Francesco di Assisi. Questi fu il primo ragazzo che si uni al suo gruppo. Don Bosco aveva deciso cosi di radunare intorno a sé tutti i ragazzi degradati della zona, dai piccoli spazzacamini agli ex detenuti.
Fondamenti della sua futura attività erano tre: l'amicizia con i giovani (che molto spesso erano orfani senza famiglia), l'istruzione e l'avvicinamento alla Chiesa. La sera di quello stesso giorno, Giovanni fece amicizia anche con i tre fratelli Buzzetti, provenienti da Caronno Varesino, che si erano addormentati durante la sua predica. Quattro giorni dopo, durante la messa domenicale, erano presenti Bartolomeo Garelli insieme a un nutrito gruppo di amici e i fratelli Buzzetti, con seguito di compaesani. Quello sarebbe stato il primitivo gruppo che avrebbe dato il via all'Oratorio di Don Bosco. Già poco tempo dopo il gruppo era talmente numeroso che il sacerdote chiese l'assistenza di tre giovani preti: don Carpano, don Ponte, don Trivero. Anche alcuni ragazzi di media cultura si avvicinarono a Don Bosco, aiutandolo a tenere a bada i ragazzi più impulsivi e ribelli. Nella primavera del 1842, al ritorno dal paese, i fratelli Buzzetti conducevano con loro il più piccolo, Giuseppe, che si affezionò molto a Don Bosco e decise, in età adulta, di seguire la via del sacerdozio, divenendo cosi suo braccio destro nella gestione del futuro ordine salesiano. Il 12 aprile 1846, giorno di Pasqua, finalmente don Bosco trovò un posto per i suoi ragazzi, una tettoia con un pezzo di prato: la tettoia Pinardi a Valdocco. Nel 1854 don Bosco diede inizio alla Società Salesiana, con la quale assicurò la stabilità delle sue opere e del suo spirito anche per gli anni futuri. Dieci anni dopo pone la prima pietra del Santuario di Maria Ausiliatrice. Nel 1872, con santa Maria Domenica Mazzarello, fondò l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con lo scopo di educare, con il medesimo spirito, la gioventù femminile.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 29-30.
San Rocco di Montpellier
La statua, collocata in una nicchia in uno dei pilastri di fronte all'ingresso, è buona scultura lignea del Seicento, proveniente dall'omonimo convento dei Minori Conventuali fatto edificare extra moenia dai Pappacoda nel primo quarto del XVI secolo e andato quasi completamente distrutto dopo l'abbandono dovuto alle leggi eversive.
Il Santo è rappresentato vestito con mantello da pellegrino, con due conchiglie sui risvolti, tunica che solleva con la mano sinistra per mostrare la piaga della gamba destra, appoggiato ad un alto bastone da cui pende una fiaschetta. Indossa anacronistici calzari tardo romani ed ha accanto un cane seduto sulle zampe posteriori che ha in bocca una pagnotta di pane.
La statua, molto mal ridotta da insetti xilofagi, è stata restaurata recentemente dall'eccellente restauratore Lorenzoni per iniziativa di don Sario Chiarelli e col contributo della prof. Raffaella Cascioli. Il restauro ha riportato in luce la grande dignità del volto del Santo, offuscata da tarde ridipinture.
Nonostante la grande popolarità di san Rocco, le notizie sulla sua vita sono frammentarie: il Santo è nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350 ed è morto a Voghera fra il 1376 ed il 1379 a non più di trentadue anni di età. Secondo le biografie i genitori Jean e Libère De La Croix erano di esemplari virtù cristiane, benestanti ma rattristati dalla mancanza di un figlio, per cui rivolsero preghiere alla Vergine Maria fino ad ottenere la grazia richiesta. Secondo la pia devozione il bimbo, a cui fu dato nome Rocco, nacque con una croce vermiglia impressa sul petto. Intorno ai vent'anni di età perse entrambi i genitori e decise di seguire Cristo fino in fondo: vendette tutti i suoi beni, entrò nel Terz'ordine francescano e, pellegrino, si recò a Roma sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia sono i suoi ornamenti; preghiera e carità la sua forza; Gesù Cristo il suo gaudio e la sua santità. Non conosciamo il percorso scelto per arrivare in Italia: nel luglio 1367 era ad Acquapendente, dove, imperversando la peste, chiese di servire nell'ospedale.
Tracciando il segno di croce sui malati, invocando la Trinità per la guarigione degli appestati, Rocco diventò lo strumento di Dio per miracolose guarigioni. Ad Acquapendente il Santo si fermò per circa tre mesi, per poi dirigersi verso luoghi dove il morbo infuriava con maggiore violenza. Arrivò a Roma fra il 1367 e l'inizio del 1368, quando Papa Urbano V era da poco ritornato da Avignone. E probabile che il Santo si sia recato all'ospedale del Santo Spirito, dove sarebbe avvenuto il più famoso miracolo: la guarigione di un cardinale, liberato dalla peste dopo che Rocco tracciò sulla sua fronte il segno di Croce.
Questo cardinale presentò il Santo al pontefice: l'incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano di san Rocco. La partenza da Roma avvenne tra il 1370 ed il 1371. Nel luglio 1371 a Piacenza presso l'ospedale di Nostra Signora di Betlemme, dove prosegue la sua opera di assistenza ai malati, finché scopre di essere stato colpito dalla peste. Si rifugia in un bosco, in una capanna vicino al fiume Trebbia. Qui un cane lo trova e lo salva dalla morte per fame portandogli ogni giorno un tozzo di pane, finché il suo padrone seguendolo scopre il rifugio del Santo. Il Dio misericordioso non permette che il giovane pellegrino muoia di peste perché ha da curare è lenire le sofferenze del suo popolo. Intanto in tutti i posti dove Rocco era passato e aveva guarito col segno di croce, il suo nome diventa famoso. Tutti parlano del giovane pellegrino che reca la carità di Cristo e la potenza miracolosa di Dio. Dopo la guarigione il Santo riprende il viaggio per tornare in patria. La leggenda ritiene che san Rocco sia morto a Montpellier, o ad Angera sul Lago Maggiore. È invece certo che si sia trovato, sulla via del ritorno a casa, implicato nelle vicende politiche del tempo: è arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera davanti al governatore. Interrogato, per adempiere il voto non volle rivelare il suo nome dicendo solo di essere "un umile servitore di Gesù Cristo"». Gettato in prigione, vi rimase cinque anni.
Quando la morte era ormai vicina, chiese al carceriere un sacerdote; si verificarono allora eventi prodigiosi, che indussero i presenti ad avvisare il Governatore, ma quando la porta della cella venne riaperta, era già morto: era il 16 agosto di un anno tra il 1376 ed il 1379. Il suo nome venne scoperto dall'anziana madre del Governatore che dal particolare della croce vermiglia sul petto, riconobbe in lui il Rocco di Montpellier. Sulla sua tomba a Voghera cominciò subito a fiorire il culto al pellegrino, amico degli appestati e dei poveri. Il Concilio di Costanza nel 1414 lo invocò santo per la liberazione dall'epidemia di peste ivi propagatasi durante i lavori conciliari. È probabile che la statua massafrese sia stata eseguita dopo una delle ricorrenti epidemie di peste secentesche, ad esempio quella del 1628-29.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 19-21.
San Gerardo Maiella
Gerardo Maiella (Muro Lucano, 6 aprile 1726 - Materdomini, 16 ottobre 1755) è stato un religioso della Congregazione del Santissimo Redentore, canonizzato nel 1904 da papa Pio X. Figlio di un modesto sarto, Domenico e di una donna del popolo, Benedetta Galella, Gerardo, dopo la prematura morte del padre entro al servizio del vescovo di Lacedonia, mons. Claudio Albini. Morto questo prelato, Gerardo, che già avvertiva da molto tempo la chiamata del Signore alla vita religiosa, cercò invano di essere ammesso tra i frati cappuccini della sua città natale. Nel 1748 ebbe modo di conoscere un gruppo di sacerdoti redentoristi e, contro il parere della madre, si uni alla nuova famiglia religiosa. Scappato di casa e lasciato un biglietto alla madre nel quale aveva scritto "mamma, perdonami, vado a farmi santo", Gerardo si uni alla compagnia dei missionari redentoristi dai quali, dopo molte insistenze, fu accettato. Lavoratore instancabile, nonostante la sua fragilissima salute che, dapprincipio, aveva reso superiori restii ad ammetterlo nella Congregazione, Gerardo si contraddistinse sempre per il suo spirito di penitenza ed per una giocondità d'animo non comuni. Nel 1752 pronuncio i voti solenni nelle mani di Sant'Alfonso Maria de' Liguori, fondatore della Congregazione: nei conventi dove fu destinato si dedicò alle mansioni più umili senza trascurare la preghiera e la penitenza. Dotato del dono dei miracoli, nella sua breve esistenza i fatti prodigiosi legati alla sua persona furono tanti e tali da meritargli in vita la fama di taumaturgo.
Fra i tanti va ricordato il miracolo del mare avvenuto a Napoli: in località Pietra del pesce una folla urlante assisteva agli sforzi di alcuni marinai che, nel mare in tempesta, cercavano inutilmente di salvarsi.
Accorso Gerardo sul luogo, subito, fattosi il segno della croce, iniziò a camminare sul mare e, afferrata la barca "con due ditelle? come raccontava ingenuamente lui a Materdomini ai confratelli, come se la cosa fosse normale, la trascinò a riva. Un altro miracolo degno di nota è quello relativo alla moltiplicazione delle derrate in occasione della carestia del 1754. In quell'inverno a Caposele molti erano coloro che, costretti dalla penuria di alimenti, bussavano alla porta del collegio redentorista. Gerardo, per sfamare tutti, vuotò letteralmente le dispense che, miracolosamente, si riempivano di pane e di ogni ben di Dio.
Amico dei poveri e dei contadini, Gerardo, che negli ultimi anni faceva il questuante, riscosse negli ambienti popolari un'ammirazione straordinaria. Ricchi, poveri, nobili, borghesi, umili facevano a gara per poterlo ospitare e godere della sua presenza. Era conosciuto come il padre dei poveri, l'Angelo e l'Apostolo della Valle del Sele, che ancora oggi si gloria di custodire i suoi resti mortali nel Santuario cretto sulla sua tomba in Materdomini. "La fede mi è vita e la vita mi e fede" e "volontà di Dio in cielo, volontà di Dio in terra", soleva dire e, soprattutto, osservare.
Gerardo Maiella oggi è universalmente invocato come protettore delle donne incinte. Poco prima di morire, infatti, aveva fatto tinta di dimenticare, ad Oliveto Citra, un suo fazzoletto presso la casa di una famiglia che l'ospitava. Una bambina, allora, gli corse dietro per restituirglielo, ma Gerardo le disse di tenerlo perché un giorno e Sarebbe servito. Passati alcuni anni - Gerardo era già morto - la bambina, diventata sposa, aveva le doglie del parto. I medici la davano per spacciata. Giunta quasi in fin di vita, si ricordo del tazzoletto di fratel Gerardo e volle che glielo posassero aperto sulla pancia. Appena ricevutolo, i dolori cessarono e la donna diede alla luce senza alcuna difficolta Il suo primo tiglio. Gerardo mori di tisi nel convento redentorista di Materdomini di Caposele all'età di 29 anni, Il 16 ottobre 1755, dopo un breve periodo trascorso a letto durante il quale non mancarono i fatti prodigiosi. La mattina dopo la morte del Santo, il fratello laico incaricato di suonare la campana a morto per dare l'annuncio funebre, tu preso da una forza misteriosa nelle braccia le quali, sottratte alla sua volontà, suonarono a festa le campane, dando cosi l'annuncio gioioso della nascita al cielo di Gerardo.
La venerazione per san Gerardo era ancora vivissima a Massafra alla fine degli anni quaranta, poi si è affievolita, man mano che le donne hanno preferito affidarsi al chirurgo per il parto cesareo piuttosto che alla sua intercessione.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 30-32.
Santa Rita da Cascia
Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti (Roccaporena, 1381 - Cascia, 22 maggio 1457), monaca agostiniana, fu proclamata santa da Leone XIII nel 1900.
La prima parte della vita di santa Rita è piuttosto oscura, esistono fonti piuttosto tarde, come la ricostruzione agiografica fatta da Agostino Cavallucci nel 1610 con la Documentazione Ritiana Antica. Comunque la maggior parte delle biografie composte sui pochi dati certi concordano nel fatto che sia nata a Roccaporena, presso Cascia, e che il suo nome sia diminutivo di Margherita. Studi incrociati e molteplici ricerche confermano come anno di morte il 1447, e quello della nascita il 1371. Rita morì in età avanzata per il tempo e il modo in cui viveva: le fonti dicono che, nei quarant'anni di clausura, il suo corpo era sottoposto continuamente a penitenze e a digiuni e, nonostante ciò, visse a lungo per l'epoca medioevale. Fu figlia unica di Antonio Lotti e Amata Ferri, descritti come persone molto religiose e "pacieri di Cristo" nelle lotte politiche tra guelfi e ghibellini. Furono loro ad insegnarle a leggere e a scrivere. Ancora oggi è tramandata la leggenda delle api, che narra che, mentre i genitori di Rita erano occupati a mietere, lei si trovava sotto un albero dentro una cesta. Un contadino si feri con la falce ed abbandonò il lavoro per andare a farsi medicare; passò davanti a Rita e vide delle api intorno alla cesta e, con la mano ferita, tentò di allontanarle. La ferita si rimarginò. Le api non punsero la piccola ma le depositarono il miele nella bocca. Questo, dalla tradizione, è considerato il primo evento miracoloso relativo alla vita di Santa Rita.
Le agiografie la descrivono come una ragazza mite, rispettosa ed obbediente ai genitori. Affascinata dalla famiglia Agostiniana, Rita desiderava farsi suora ma per volere dei genitori si risolse verso il matrimonio. Come era usanza del tempo, i matrimoni spesso venivano programmati già in giovanissima età, così anche Rita, all'età di sedici anni, andò sposa a Paolo Mancini, ufficiale comandante la guarnigione di Collegiacone, uomo dal carattere orgoglioso e autoritario, discendente da un ramo della nobile famiglia Mancini. Ebbero due figli: Giangiacomo Antonio e Paolo Maria. Rita si dedicò instancabilmente alla sua famiglia creando le premesse per la successiva conversione di suo marito. Infatti riavvicinò il suo sposo alla fede ed educò i figli alla religione. Proprio quando l'unione matrimoniale, che durò circa diciotto anni, sembrava andare bene, Paolo Mancini fu ucciso, probabilmente da suoi ex-compagni per rancori passati, in piena notte mentre rincasava. Rita, credente fino in fondo, perdonò gli assassini di suo marito ma si angosciò profondamente quando capi che i suoi figli volevano prendere la strada della vendetta. Si affidò allora alla preghiera, auspicando addirittura la loro morte fisica piuttosto che vederli responsabili di atti di violenza e quindi con il rischio della morte della loro anima. Poco tempo dopo i due ragazzi si ammalarono contemporaneamente e morirono.
Ormai rimasta sola, Rita volle esaudire il desiderio che era in lei già dalla giovinezza di prendere i voti e dedicarsi completamente a Dio e a quel carisma Agostiniano che a Cascia era fortemente presente nel monastero di Santa Maria Maddalena. Per tre volte chiese inutilmente di entrare presso quel monastero. Il suo stato vedovile e forse anche le implicazioni dell'omicidio del marito potrebbero averle ostacolato l'ingresso in monastero. Ma Rita trovò la terza via. Era tradizione medioevale che quando si offendeva con un omicidio, la parte offesa, per vendicare il defunto, doveva incaricare un membro familiare di uccidere i suoi uccisori. Rita impedì di far spargere altro sangue e dimostrò la forza della Fede e il vero perdono che non chiede nulla in cambio: morti i due figli, dopo aver pacificato gli animi e riconciliato la famiglia di suo marito e quella dell'assassino, entrò in monastero con la benedizione dei familiari rimasti del marito. Secondo la tradizione, Rita, in piena notte, fu portata in volo fino dentro le mura del monastero dai suoi tre Santi protettori (Agostino d’Ippona, Giovanni Battista e Nicola da Tolentino) dallo scoglio di Roccaporena (luogo dove la Santa andava spesso a pregare). Cosi la Badessa, compresa la vera fede di Rita, la accolse in monastero, dove visse fino alla morte, dedicandosi alla preghiera.
Molti sono i segni soprannaturali che i credenti attribuiscono a Rita: la sera del Venerdì Santo dopo la predica di Fra' Giacomo della Marca, affascinata dalla descrizione della passione di Cristo, avrebbe ricevuto una spina dalla corona di Cristo conficcata sulla fronte. La madre badessa rifiutò, in seguito a tale evento, la richiesta della santa di partire per Roma con le altre suore per un pellegrinaggio. Però, il giorno prima di partire, la tradizione vuole che la spina nella fronte spari e cosi Rita poté partire. La spina fu portata dalla Santa per i suoi ultimi quindici anni. Alla sua morte, avvenuta il 22 maggio 1457, il suo corpo venne collocato in una cassa di pioppo lavorata per atto devozionale dall'artigiano casciano Cecco Barbari. I primi miracoli, una volta verificati, venivano puntualmente registrati nel codex miraculorum, Codice dei miracoli in cui è presente quello di Cecco Barbari il quale, zoppo, allorché voleva far sistemare il corpo di Rita degnamente, ebbe la gamba guarita e, come gesto di devozione, le costruì lui stesso la cassa. Successivamente venne realizzata la cassa solenne con il vero volto della Santa e un'iscrizione che brevemente riassume gli ultimi anni della sua vita.
La venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli iniziò subito dopo la sua morte e fu caratterizzata dall'elevato numero e dalla qualità di eventi prodigiosi, riferiti alla sua intercessione, tanto che acquisì l'attributo di "santa degli impossibili". La sua beatificazione è del 1627, 180 anni dopo la sua morte, durante il pontificato di Urbano VIII Barberini, già vescovo di Spoleto. Leone XIII, nel 1200, la canonizzò come santa. La devozione popolare cattolica per la Santa è tutt'ora senza dubbio una delle più diffuse al mondo, raccogliendo fedeli in ogni angolo della Terra. Con la riforma dell'anno liturgico del Martirologio Romano, il 22 maggio, sua festività, è diventata "Memoria facoltativa".
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 33-35.
Santa Lucia da Siracusa
Lucia (Siracusa, 283 - Siracusa, 13 dicembre 304) è una santa, venerata dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Morì martire durante le persecuzioni di Diocleziano a Siracusa.
Nell'introduzione al romanzo storico Lucia di Renè du Mesnil de Maricourt, Ampelio Crema ha scritto che: "la prima e fondamentale testimonianza sull'esistenza di Lucia ci è data da un'iscrizione greca scoperta nel giugno del 1894 dal professor Paolo Orsi nella catacomba di san Giovanni, la più importante di Siracusa: essa ci mostra che, già alla fine del quarto secolo o all'inizio del quinto, un siracusano - come si deduce dall'epigrafe alla moglie Euschia - nutriva una forte e tenerissima devozione per la "sua" santa Lucia, il cui anniversario era già commemorato da una festa liturgica. Tale iscrizione è stata trovata su una sepoltura del pavimento, incisa su una pietra di marmo quadrato, misurante cm 24x22 e avente uno spessore di cm 3, tagliata irregolarmente. Le due facce della pietra erano state ricoperte di calce: ciò indica che la tomba era stata violata". Cosi recita l'iscrizione di Euschia: Euschia, irreprensibile, vissuta buona e pura per circa 25 anni, morì nella festa della mia santa Lucia, per la quale non vi è elogio che convenga. Cristiana, fedele, perfetta, riconoscente a suo marito di una viva gratitudine.
Di santa Lucia esiste a Siracusa il "loculo", cioè la tomba primitiva, sulla quale fin dai tempi antichi sorse una chiesa, rifatta poi nel Seicento. Inoltre - come ha scritto Piero Bargellini, nel suo libro I Santi del giorno -esistono iscrizioni, che testificano una remota e fervida devozione per la Martire e un culto liturgico già stabilito dai primi secoli. Infine, esiste una di quelle "Passioni" con le quali la devozione dei fedeli ha ricamato di fantasia, sopra un canovaccio certamente storico”. È considerata dai devoti la protettrice degli occhi, dei ciechi, degli oculisti, degli elettricisti e degli scalpellini. Il corpo della santa, prelevato in epoca antica dai Bizantini a Siracusa, e stato successivamente trafugato dai Veneziani che conquistarono e saccheggiarono Costantinopoli ed è quindi attualmente conservato e venerato nella chiesa di San Geremia a Venezia. La venerazione per Lucia è molto antica in Massafra: basti pensare che, fra VIII-IX secolo, in età longobarda, le tu dedicata una chiesa subdiale forse edificata su una più antica chiesa rupestre.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 32-33.
San michele arcangelo
La statua è opera di un delicato scultore settecentesco, che raffigura l' Arcangelo come un soldato romano, con corazza e gonnellino, elmo piumato e caligae ai piedi. Con la destra leva in alto una spada e con la sinistra regge uno scudo d'argento ed una catena legata al polso di un diavolo antropomorfo che è sotto i suoi piedi.
Trasposizione personificata della dynamis, la potenza di Dio, ebbe il suo trionfo nell'Apocalisse, dove la scena del combattimento in cielo è possentemente tratteggiata dalle parole di Giovanni (Apocalisse 12,7): "E in cielo vi fu una gran battaglia: Michele e i suoi Angeli combattevano contro il dragone e gli Angeli suoi che non prevalsero e nel cielo non vi fu più posto per loro. E quel gran dragone, l'antico serpente, che si chiama Diavolo e Satana, il seduttore del mondo intero, fu precipitato sulla terra con tutti gli angeli suoi.
L'immagine evocata è fortemente plastica e dinamica, pronta per essere tradotta in raffigurazioni. A Costantinopoli, dove il culto era approdato precocemente muovendo forse dalla Frigia - ma a Cheretopa, Colossae, Chonai, l' Arcangelo era venerato soprattutto come guaritore - si conferì a Michele l'aspetto e il volto di un alto dignitario di corte, in uniforme di comandante capo delle milizie celesti, vestito della clamide di porpora e del loros imperiale, avente nella sinistra il globo crocesignato e nella destra la lancia con cui trafigge il serpente. Figura giovanile, monumentale e solenne, ieraticamente statica, la si ritrova in avori, mosaici e in innumerevoli icone, a partire dal VI secolo sino al tardo Medioevo in particolare nelle aree di influenza greca. Cosi è rappresentato in numerose chiese rupestri di Puglia, come a Massafra in quelle di Sant'Angelo a Torella e San Simeone a Famosa, abissalmente diverso dall'iconografia della nostra statua, che ha origine in altre culture.
Negli esempi quattrocenteschi di matrice nordica - sportello esterno del Trittico di Danzica di Hans Memling, ripreso in una tavola napoletana già in Santa Maria Nova, ora a Capodimonte - la lancia è per lo più sostituita dalla spada sguainata levata col braccio destro piegato sopra il capo; l'Arcangelo porta 1'armatura, ma con una grazia femminea che autorizza, almeno in alcuni esempi francesi Libro d'ore di Pietro II, duca di Bretagna, Messale di Carlo VI, già nella Biblioteca Didot, a Parigi - il richiamo alla figura di Giovanna d'Arco, la Pulzella d'Orlèans, in armi contro i nemici della Francia.
Come sempre in tempi di calamità e di pericolo, la figura dell'Arcangelo a spada sguainata assicurava protezione e prometteva la vittoria sui nemici.
Con rare eccezioni, sarà questa la versione preferita anche nel clima della Riforma cattolica, dove si riproporrà con nuova ampiezza scenografica il tema della Cacciata degli Angeli ribelli. Antagonista
dell'Arcangelo diviene allora principalmente l'Eresia e il motto QUIS UT DEUS campeggiante sul suo scudo assume dichiaratamente il valore di un grido di battaglia e di sfida.
Nella nuova icona secentesca elaborata da Guido Reni (Roma, Santa Maria della Consolazione), la figura luminosa con le ali dispiegate e le braccia aperte aleggia su uno sfondo di nubi: la destra armata di spada rivolta in basso, Verso il Demonio in forma umana, la bilancia" ridotta a un gingillo, nella mano sinistra. In seguito, questo attributo finirà per scomparire quasi del tutto, sostituito da una catena con la quale l'Angelo tiene avvinto per un braccio Satana. Si veda, ad esempio il gruppo bronzeo di Alessandro Algardi nel Museo Civico di Bologna.
Le due funzioni, di difensore e combattente contro il male nonché di pietoso soccorritore degli uomini nelle loro miserie, si fondono con rara espressività nell' immagine rinascimentale dell'Arcangelo garganico: quel simulacro marmoreo voluto dal re di Spagna, scolpito nel Cinquecento a Napoli da un eccellente artista, toscano di nascita o quanto meno di formazione, che, esposto sull'altare nella grotta di Monte Sant'Angelo, è servito da allora come modello per le migliaia di copie in tutte le materie e le dimensioni, prodotte per venire incontro alle esigenze della moltitudine di devoti. L' Arcangelo vi appare rivestito della lorica - raffinatissima - ma con volto mite di fanciullo, mentre leva sopra 1I capo la spada con espressione più di ammonimento che di minaccia nei confronti del Demonio in sembianze di fauno che calca col piede. Lo sguardo, dolcissimo, e rivolto altrove, verso la folla di devoti, idealmente raccolti ai suoi piedi. San Michele, commemorato il 29 settembre, era principale patrono di Massafra fino al 1776, ora è copatrono con la Madonna della Scala.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 23-25.
sacro cuore di gesù
san gaetano da thiene
san francesco da paola
La statua lignea, a grandezza naturale, rappresenta il Santo in abito monastico, come generalmente nella sua iconografia. E opera di buona mano, databile al pieno Seicento e collegabile, come quella di San Rocco, alle esigenze devozionali di ringraziamento dopo una delle tante epidemie. Anche questa statua è stata restaurata recentemente dal Lorenzoni col contributo del sig. Antonio Dicandio.
Francesco nacque a Paola (Cosenza), il 27 marzo 1416 da Giacomo D'Alessio e Vienna da Fuscaldo, coniugi devoti a San Francesco d'Assisi, all'intercessione del quale, pur già in età avanzata, chiesero la grazia di un figlio. Nato, dunque, il bambino, gli fu imposto il nome di Francesco. Da piccolo, Francesco contrasse una grave infezione ad un occhio, e i genitori si rivolsero nuovamente al Santo d'Assisi, promettendogli che, in caso di guarigione, il piccolo avrebbe indossato per un anno (il famulato) l'abitino dell'ordine francescano. All'era di Predici anni narro della visione di un frate francescano che gli ricordava il fatto dei genitori. Accolto nel convento francescano di San Marco Argentano (Cosenza), vi rimase per l'anno di famulato che evidenzio le attitudini mistiche del giovane, compresi quei fenomeni soprannaturali che accompagneranno tutta la sua biografia. Concluso l’anno, i frati di San Marco Argentano avrebbero voluto trattenerlo, ma Francesco desiderava conoscere anche altre modalità di vita consacrata prima di fare la sua scelta. Nel 1430 svolse, con la famiglia, un lungo pellegrinaggio verso Assisi. Rientrato a Paola, iniziò un periodo di vita, eremitica in un luogo impervio. Nel 1435, altri gli si associarono, riconoscendolo come guida spirituale. La fama di santità di Francesco si diffuse rapidamente, tanto che nel 1467 Papa Paolo Il inviò a Paola un suo emissario per avere notizie sull'eremita calabrese. Rientrato a Roma, l'inviato presentò un rapporto obiettivo sulla vita di preghiera ed austerità dell'eremo. Nel 1470 ebbe inizio il procedimento per l'approvazione del nuovo ordine eremitico. Il 17 maggio 1474, papa Sisto IV riconosceva l'ordine denominato: Congregazione eremitica paolana di San Francesco d'Assisi. La regola di estrema austerità venne invece approvata da papa Alessandro VI, in concomitanza con il mutamento del nome in quello, ancora attuale, di Ordine dei Minimi.
Fra i fenomeni soprannaturali attribuiti a Francesco vi è quello della guarigione di un ragazzo affetto da un'incurabile piaga ad un braccio, lo sgorgare dell'acqua che fece scaturire colpendo con il bastone una roccia presso il convento di Paola; le pietre del miracolo che restarono in bilico mentre minacciavano di cadere sul convento. Ma il "miracolo" più famoso è certamente quello noto come l'attraversamento dello Stretto di Messina sul suo mantello steso, dopo che un barcaiolo" era rifiutato di traghettare gratuitamente lui ed alcuni seguaci, fatto che ha contribuito a determinare la nomina a patrono della gente di Marca a notizia delle sue doti di santità e taumaturgia giunse anche in Francia, al re Luigi XI il quale, ammalatosi gravemente, lo mandò a chiamare. Francesco era molto restìo all’idea di lasciare la sua gente bisognosa, tanto da indurre il sovrano francese a rivolgersi al Papa affinché ordinasse a Francesco di recarsi presso di lui. Ci vollero alcuni mesi pero per convincere Francesco che il 2 febbraio 1483 lasciò la Calabria per la Francia. Passò per Napoli e a Roma incontrò papa Sisto IV che gli affidò diversi incarichi. Si imbarcò quindi a Civitavecchia per la Francia. Al suo arrivo presso la corte, Luigi XI gli si inginocchiò, anche se il Santo non lo guarirà dal male. Francesco visse in Francia circa venticinque anni. Molti religiosi, affascinati dal suo stile di vita, si aggregarono a lui, fatto che comportò il passaggio dall'eremitismo al cenobitismo, con la fondazione di un secondo ordine (per le suore) ed un terzo (per i laici). Le rispettive regole furono approvate da papa Giulio II il 28 luglio 1506. Dopo aver trascorso gli ultimi anni in serena solitudine, mori in Francia a Plessis-les-Tours il 2 aprile 1507. Approssimandosi la fine, chiamò a sé i suoi confratelli, provvide alla nomina del vicario generale ed infine, dopo avere ricevuto i sacramenti, si fece leggere la Passione secondo Giovanni e serenamente spirò. Fu canonizzato nel 1519, a soli dodici anni dalla morte. La sua festa si celebra il 2 aprile.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 21-23.
immacolata concezione
sant'
antonio
da padova
La statua lignea di sant' Antonio di Padova collocata su uno degli altari laterali, è stata recentemente riportata al suo aspetto originario da un accurato restauro del Lorenzoni. E delicata opera settecentesca di un buon artista anonimo. L'iconografia è quella maggiormente vulgata: il Santo regge su di un braccio Gesù Bambino e con l'altra mano regge un giglio. E notoriamente uno dei santi più venerati della Chiesa cattolica e la sua festa ricorre il 13 giugno.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 28.
ALTORILIEVI
martirio dei ss. medici
È un dipinto su tavola centinata probabilmente di datazione,
o almeno di tradizione quattrocentesca. La Vergine, seduta su un
seggio invisibile, col Bambino nudo posato sul ginocchio sinistro,
indossa un vestito rosa scollato, ed è avvolta in un ampio manto scuro
che le copra il capo. Tutto intorno è un turbinio di angioletti nudi,
due dei quali reggono sul capo di Maria una corona a fioroni che
riecheggia, con maggiore ricchezza, quelle angioine, come quelle
che si vedono negli affreschi della santa Caterina nella chiesa rupestre
della Buona Nuova a Massafra ed altrove.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 13.
transito di san giuseppe
È un dipinto su tavola centinata probabilmente di datazione,
o almeno di tradizione quattrocentesca. La Vergine, seduta su un
seggio invisibile, col Bambino nudo posato sul ginocchio sinistro,
indossa un vestito rosa scollato, ed è avvolta in un ampio manto scuro
che le copra il capo. Tutto intorno è un turbinio di angioletti nudi,
due dei quali reggono sul capo di Maria una corona a fioroni che
riecheggia, con maggiore ricchezza, quelle angioine, come quelle
che si vedono negli affreschi della santa Caterina nella chiesa rupestre
della Buona Nuova a Massafra ed altrove.
R. CAPRARA, Il Duomo di Massafra, Crispiano 2011, p. 13.